3 Maggio 2021 19:47

DEPOSITO SENTENZA E APERTURA ADESIONI AL RICORSO IN CASSAZIONE

Gentili signori,

il Consiglio di Stato ha depositato la sentenza, e purtroppo ha respinto il nostro appello confermando la sentenza del Tar, già a noi sfavorevole.

La sentenza è il frutto di un attento lavoro, costruito "ad arte", con ampia e diffusa motivazione, pur di dare ragione ai giudici del Tar e, per l'effetto, al Comune di Roma. Vi inoltro la SENTENZA (cliccate su "SENTENZA"). Tuttavia i giudici non sono stati così "bravi" da sfuggire al vizio di "ECCESSO DI POTERE GIURISDIZIONALE", già sollevato come "primo motivo" dell'appello al Consiglio di Stato. Cercherò di spiegarmi.

Secondo i giudici amministrativi, da un lato la sentenza da ottemperare - quella a voi favorevole del 2014 passata in giudicato - non avrebbe nè nel "dispositivo" nè nella sua "motivazione" alcuna "statuizione" in ordine "all'INQUADRAMENTO IN CAT D dei ricorrenti"; dall'altro lato, il dispositivo e la motivazione della sentenza non possono non essere interpretati alla luce della "normativa" che distingue fra posti semplicemente "vacanti" e posti anche "disponibili". Sotto questo ultimo aspetto, la circostanza che, dopo la delibera del 2011 che ha sancito l'ultimo scorrimento, non vi siano state nuove e ulteriori "delibere formali di assunzione" in cat D, rende evidente che i posti, anche se "vacanti", non erano ancora "disponibili".

Tale ricostruzione è del tutto errata. Innanzi tutto, non è assolutamente vero che il "dispositivo" non statuisca "alcun inquadramento" dei ricorrenti. Al contrario, il "dispositivo" medesimo recita "dichiara il dritto dei ricorrenti ad essere inquadrati in cat D, pos ec D1....". Quello che il dispositivo non prevede è la "data di inquadramento", non l'inquadramento in sè. Il fatto che non preveda la suddetta "data" non vuol dire che non preveda tale "inquadramento": semplicemente ha lasciato la data indeterminata, non essendo stata indicata nel ricorso, onde il giudice non poteva andare "ultra petita". Quanto al secondo punto, bisogna invece evidenziare che il VERBALE di INTESA del 2008 citato dal Giudice del lavoro, era un atto sufficiente ad esprimere la "decisione di Roma Capitale di coprire i posti vacanti fino a 3.000 unità". La circostanza che dopo il 2011 tale "volontà" dell'Ente, concordata con i sindacati, non si fosse tradotta in Delibere formali di "pianificazione assunzionale", in parte non risponde al vero e in parte è contraddetta dalla Delibera n. 370 del 25.11.2009. Infatti, è chiaro che, una volta che l'Ente decide, a febbraio del 2011, che la vostra graduatoria era prossima a scadere e quindi non più utilizzabile, esso ha arrestato la stessa possibilità di emanare successive delibere per occupare ulteriori posti vacanti per scorrimento della vostra graduatoria. Dall'altro, già nella Delibera del 25.11.2009 e nel previo Ordinamento Professionale già adottato il 17.11.2008, era espressamente stabilito che la graduatoria sarà utilizzata non solo per i vincitori, ma per tutti gli idonei, al fine di colmare tutti i posti vacanti in cat D "fino ad arrivare a 3.000 unità". E' evidente, pertanto, che tali atti, e non solo il verbale di intesa di febbraio 2008, esprimevano una piena "decisione" di "scorrimento", da cui origina un diritto soggettivo "pieno e perfetto", contrariamente a quanto invece sostenuto dai giudici amministrativi.

In ogni caso, il vizio di fondo della sentenza è lo "stravolgimento" del "dispositivo", nel senso di interpretarlo come se predicasse non un "diritto incondizionato", ma un "diritto condizionato", per di più condizionato non ad elementi espressamente indicati nella sentenza da ottemperare, ma ad elementi rimasti "esranei" a detta sentenza. In altri termini, se il Giudice del lavoro aveva dichiarato un "diritto soggettivo", riconoscendo a monte la sua giurisdizione, e accogliendo nel merito il ricorso, la circostanza che egli avesse citato il VERBALE DI INTESA del 2008 per dare "fondamento" al diritto, non consentiva ai Giudici Amministrativi, che non ne hanno affatto "giurisdizione", di "integrare" la cognizione del primo giudice con elementi di giudizio "nuovi", quali sarebbero "le norme vigenti", "la mancanza di delibere assunzionali, ecc". Tali elementi, se non sono stati presi in considerazione dal primo giudice, non possono essere presi in considerazione neppure dai giudici dell'ottemperanza, pena il "rifacimento del giudizio di cognizione".

Di tale "contraddizione" sono così consapevoli i giudici del Consiglio di Stato, che verso la fine della sentenza, con ciò implicitamente convalidando il ragionamento contenuto nell'atto di appello in ordine al "paradosso interpretativo" cui si perviene - quello per cui il giudice ordinario, pur non avendo riconosciuto un "diritto pieno e incondizionato", ha però riconosciuto la "propria giurisdizione" -, affermano tale "anomalia" in cui sarebbe incorsa detta sentenza. Cioè, il Giudice pur non riconoscendo un "diritto pieno" non ha declinato la sua giurisdizione, in favore del giudice amministrativo, ma è invece entrato "nel merito", decidendo il ricorso e accogliendolo.

Ma allora delle due l'una: o il Giudice non ha dichiarato "alcun diritto pieno e incondizionato", ma allora è la sua sentenza ad essere affetta da "difetto di giurisdizione" (poichè si sarebbe pronunciato su un "interesse legittimo" e non su un "diritto soggettivo"), oppure il Giudice ha dichiarato un "diritto pieno e incondizionato", e allora la sua sentenza è frutto della "sua giurisdizione". Poichè la giurisdizione del giudice ordinario è stata riconosciuta tale con sentenza passata in giudicato, l'opzione interpretativa seguita dai giudici di Palazzo Spada - quella per cui detto Giudice non ha riconosciuto alcun diritto pieno - crea il paradosso di rendere detta sentenza emanata "in difetto di giurisdizione". Tuttavia, poichè la "giurisdizione" rappresenta un "presupposto processuale", che va scrutinato prima del "merito", l'interpretazione fornita dai giudici amministrativi, anzichè interpretare la volontà del primo giudice partendo ormai dal presupposto insindacabile che egli "avesse giurisdizione", interpreta detta volontà arrivando ad attribuire al giudice uno "sconfinamento in altra giurisdizione". In tal modo, però, non sono i giudici aministrativi che si adattano al giudice ordinario, ma la volontà di quest'ultimo viene interpretata in modo distonico con la sussistanza della sua stessa giurisdizione.

E' allora molto più logico e verosimile ipotizzare che a "violare la giurisdizione" siano stati oggi proprio i giudici amministrativi, non il primo giudice. Poichè il giudizio di "cognizione" ha preceduto quello odierno sulla "esecuzione", è quest'ultimo che deve adeguarsi al primo, in modo da rendere, anche nel dubbio, la prima sentenza come "utiliter data", cioè che ha riconosciuto un diritto pieno, avendone giurisdizione (la cui sussistenza è stata accertata con sentenza passata in giudicato), e non il primo ad adeguarsi al secondo, perchè non si può interpretare un giudizio di cognizione già concluso, sulla base di elementi che, a posteriori, ne renderebbero "assente la giurisdizione".

Gli "elementi nuovi" valutati dai giudici amministrativi producono questo aberrante risultato, quindi sono il segno più evidente che essi "non rientrassero, neppure come elementi interpretativi, nell'area di cognizione esercitata dal primo giudice", e quindi erano "elementi esterni". In quanto elementi "esterni", essi non potevano essere utilizzati per interpretare la sentenza da ottemperare, e quindi la sentenza del Tar/Consiglio di Stato è affetta da "eccesso di potere giurisdizionale", e può essere impugnata in cassazione, sezioni unite, per "motivi inerenti la giurisdizione".

Apro da oggi ufficialmente le adesioni al RICORSO ALLE SEZIONI UNITE DELLA CASSAZIONE PER MOTIVI DI GIURISDIZIONE, e vi inoltro la PROCURA (cliccare su "PROCURA"), che mi dovrà essere spedita in originale cartaceo, per posta raccomandata con ricevuta di ritorno (non per PEC, il cui allegato non è più un orginale dovendo io apporre la mia firma), presso il mio nuovo studio in Roma, Circonvallazione Clodia n. 5 (00195).
Il termine per aderire al RICORSO scade il 31 maggio p.v. Tale ricorso è completamente gratuito, anche per il pagamento del contributo unificato, che sarò io a versare di tasca mia.

Cordiali saluti.
Avv. Giuseppe Pio Torcicollo

 

CHIUSURA COMUNICAZIONE