08 dicembre - 20:28
RICORSO ALLA CORTE EUROPEAGentili signore/i, come molti di voi avranno già saputo, in data 22 novembre u.s. la Corte Costituzionale ha pubblicato la sentenza relativa al ricorso promosso dal tribunale di Perugia, che chiedeva di riconoscere la "illegittimità" della trattenuta operata sullo stipendio dei dipendenti pubblici assunti dopo il 31 dicembre 2000. Innanzi tutto, vorrei subito chiarire, come qualcuno di voi già saprà avendone parlato con il sottoscritto, che sono sempre stato contrario all'idea di "scomodare" la Corte Costituzionale "per la terza volta", dato che essa si era già pronunciata sia nel 2012 che nel 2014, con sentenze che avevano riconosciuto l'illegittimità delle trattenute, sia pure per categorie di dipendenti in parte diverse da voi. Il sottoscritto, partendo da queste precedenti sentenze, ma soprattutto dall'analisi della normativa di legge italiana, aveva constatato che la c.d "riduzione dello stipendio", anzichè essere prevista direttamente da una fonte di "legge", era stata introdotta nell'ambito di un "accordo sindacale" e del successivo "decreto ministeriale attuativo". Nei ricorsi al tribunale patrocinati dal sottoscritto, ho sempre evidenziato che NON ERA LA LEGGE ad aver previsto per i dipendenti assunti dopo il 2000 la suddetta "riduzione retributiva", ma bensì delle fonti normative secondarie. Pertanto, ho sempre detto che per "vincere" queste cause non occorreva scomodare più la Corte Costituzionale, perchè l'esame della nostra legge interna italiana non ravvisava alcuna "norma di legge" che avesse espressamente stabilito tale riduzione. Pertanto il Giudice ha potuto accogliere i nostri ricorsi senza rimettere la questione al vaglio della Corte Costituzionale. Mentre il sottoscritto ha SEMPRE VINTO queste cause, succedeva però che altri studi legali, invece, le perdevano, in quanto il Giudice veniva indotto a pensare che tale riduzione del 2,5% fosse in qualche modo stata prevista non solo da un "accordo sindacale" e dal successivo "regolamento", ma anche da una norma di legge: l'articolo 26, comma 19, della legge n. 448 del 1998. Non essendo riusciti a convincere i giudici che tale norma, al contrario, non prevedeva alcuna riduzione per i dipendenti che non erano ancora stati assunti, ma piuttoto predicava una "invarianza" rispetto ai dipendenti già in servizio i quali passavano dal regime TFS al regime TFR, un Giudice (quello di Perugia) ha ritenuto che, per risolvere il problema, l'unico modo fosse quello di chiedere di nuovo l'intervento della corte costituzionale. Ha quindi sollevato la questione davanti alla Consulta, errando l'impostazione in due sensi: 1) nel dare per scontato che l'articolo 26, comma 19, della legge n. 448 del 1998 avesse effettivamente previsto tale "riduzione", al fine di assicurare l'invarianza della retribuzione, anche a carico dei dipendenti che in quel momento non erano ancora in servizio, cioè quelli che sarebbero stati assunti dopo il 31 dicembre del 2000; 2) nel parlare di "discriminazione" fra dipendenti pubblici TFS e dipendenti pubblici TFR. Il Tribunale di Perugia, cioè, e prima di esso molti studi legali che avevano fatto ricorsi al tribunale, hanno impostato "male" il problema, per una semplice ragione: il principio di uguaglianza non va applicato ai rapporti fra dipendenti pubblici in TFS e dipendenti pubblici in TFR, trattandosi di dipendenti che appartengono a "REGIMI DIVERSI" (v. Corte Costituzionale del 2014). Il principo di uguaglianza, invece, andava applicato ai rapporti fra dipendeti pubblici TFR e dipendenti privati, anch'essi in regime TFR. L'identità di REGIME applicabile alla buonuscita, infatti, è l'elemento che induce ad evitare qualunque differenziazione sul piano del trattamento retributivo periodico, e non il fatto che si tratti di dipendenti pubblici che, in quanto tali, vanno trattati come i dipendenti pubblici rimasti nel regime precedente (TFS). L'errata impostazione della causa ha determinato la decisione finale della Consulta. La quale, non ha esaminato il profilo della vera disparità di trattamento fra dipendenti pubblici e dipendenti privati, ma una questione che appariva già infondata. In ogni caso, la prospettazione alla Corte è stata errata posto che ha dato per scontato che l'articolo di legge sopra indicato avesse davvero voluto sancire tale "decurtazione" anche a carico dei dipendenti entrati dopo il 2000. Risultato: sia a causa della "errata impostazione" della questione da parte del giudice remittente, sia a causa delle conseguenze economiche che avrebbe determinato una sentenza della Consulta che dichiarasse illegittima tale trattenuta, alla fine la Corte Costituzionale ha emesso una sentenza che è essa ILLEGITTIMA: o meglio, avendo la Corte interpretato l'articolo 26, comma 19, come una norma che autorizza tale trattenuta, e avendo detto che tale norma è legittima, dopo questa sentenza esce fuori che lo STATO ITALIANO, complice ora anche la nostra Corte Costituzionale, prevede a carico dei pubblici dipendenti sottoposti al regime TFR, cioè lo stesso regime dei privati, una "trattenuta mascherata", che invece i privati non hanno. Poichè è il regime giuridico applicato nel suo complesso che conta, non se se sei un dipendente pubblico o un dipendente privato, succede che per effetto di tale sentenza della Corte Costitiuzionale, ora emerge una nuova "violazione della parità di trattamento", quella fra dipendenti pubblici e dipendenti privati, entrambi soggetti allo stesso regime TFR, e quindi è una violazione che, non esaminata dalla Corte Costituzionale, può oggi essere esaminata dalla CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL'UOMO. La sentenza della Corte Costituzionale, infatti, avrebbe dovuto limitarsi a dichiarare inammissibile la questione, in quanto mal prospettata, e non entrare a gamba tesa nel merito, dichiarando legittima una norma che, però, lo accenna la stessa Corte Costituzionale, non è così chiara ed esplicita nel prevedere tale decurtazione dello stipendio. Inoltre, la Corte Costituzionale valorizza il principo della "parità di trattamento" fra tutti i "dipendenti pubblici", quando in realtà nelle altre sentenze aveva detto che tale principo non si applica se i "regimi giuridici" di volta in volta cambiano. E poi tale principo, pur essendo sancito nel testo unico sul pubblico impiego, non ha valenza "costituzionale", mentre il principo di "uguaglianza" ha invece rilevanza costituzionale! Per tutti questi motivi, la sentenza della Corte Costituzionale "apre un nuovo problema": l'esistenza, a questo punto, di una norma della "legge italiana" (appunto l'art. 26, comma 19 della legge n. 448 del 1998), che, per come interpretata dalla Corte Costituzionale, prevede una "invarianza" della retribuzione nel senso che la retribuzione di un dipendente pubblico, pur se assunto nella pubblica amministrazione direttamente quando era già in vigore il nuovo "regime TFR" (cioè dopo il 31 dicembre del 2000), debba rimanere "uguale" alla retribuzione del dipendente pubblico già in servizio, sottoposto ad un diverso regime (TFS). Ed al contempo, tale dipendente sarebbe così discriminato rispetto al dipendente privato, il quale invece non subisce alcuna decurtazione dello stipendio (oltre le normali ritenute e imposte). Questo vuol dire che nel nostro ordinamento c'è una norma che viola il principio della "parità di trattamento", a "parità di mansioni e di condizioni", di cui alla clausola 4 della convenzione europea sui diritti dei lavoratori. Tale nuovo profilo, pertanto, dovrà essere ora sottoposto ai Giudici davanti a cui pendono i vostri procedimenti. Cosa accadrà. In tutti i procedimenti in corso per voi, sia quelli pendenti già in Corte di Appello, sia quelli ancora pendenti in primo grado, verrà sottoposta ai giudici tale questione, chiedendo di sospendere i procedimenti in attesa che si pronunci la Corte europea. Qualora nè la Corte di Appello nè il Tribunale in primo grado dovessero accettare di sospendere il giudizio in corso e rimettere la questione alla Corte Europea, è chiaro che i suddetti giudizi, anche quelli che avevamo vinto in primo grado, verrebbero rigettati per via dell'effetto dirompente della sentenza della Corte Costituzionale. Tuttavia, in caso di rigetto dei suddetti giudizi, con riferimento in particolare alle sentenze della Corte di Appello di Roma che arriveranno fra febbraio ed aprile del 2019, è possibile proporre RICORSO IN CASSAZIONE, riformulando in quella sede la richiesta di sospensione dei giudizi e di rimessione alla Corte Europea. A quel punto la Cassazione è obbligata a sospendere ed attendere il giudizio della Corte Europea. Per tutto questo tempo, qualora il Comune di Roma dovesse chiedere a coloro, fra voi, che hanno visto ottenere i rimborsi tramite assegno nonchè sospendere la trattenuta dal 2017, di restituire tali importi, potremo chiedere di attendere che sulla questione si pronunci la Corte Europea. Non posso garantirvi fin d'ora che verrà sospesa la richiesta di rimborso, ma naturalmente farò di tutto perchè ciò avvenga! Per coloro che, invece, hanno giudizi in corso ma non è ancora pervenuta alcuna sentenza, il problema del rimborso neppure si pone. Al fine di tranquillizzarvi, ed anche per farvi capire che non ho alcuna intenzione di approfittare di questa situazione che si è venuta a creare dopo questa sentenza della Corte Costituzionale, mi impegno fin d'ora a portare avanti e concludere le vose cause "gratuitamente", e comunque ad assistervi nella richiesta di rimborso (chiedendo la sospensione o, in subordine, di alleggerire tale richiesta) fornendo assistenza del tutto gratuita. Per quanto mi riguarda, pertanto, la battaglia legale non è affatto conclusa, ma non sarete più voi a pagarmi le spese, poichè da oggi tutto proseguirà nella totale GRATUITA' per voi! Cordiali saluti. |